Mai nella storia della York University di Toronto si è visto uno schieramento di polizia come ieri. L’ala convegni MacKenzie sbarrata stile bunker. La sua aula principale inaccessibile persino ai giornalisti. Addirittura il veto ai professori della stessa Università di entrarci per tutto il giorno.
No, non si trattava di proteggere Bush o bin Laden. Chi stava parlando, lì dentro era Daniel Pipes, direttore del Middle East Forum, invitato dalla Jewish Federation of Students. Uno dei principali sostenitori della necessità di fare piazza pulita di qualsiasi sospetto di antiamericanismo e antisemitismo in tutte le università occidentali. Un ebreo integralista nemico del dissenso. Un uomo da “caccia alle streghe”. Teorico del pericolo che l’affluenza di arabi nei campus nordamericani sposti l’obiettivo dagli studi alla politica, favorendo il terrorismo negli Stati Uniti. E non solo (vedere riquadro).
«Shame on York!»: al grido di «York si vergogni!» una cinquantina di studenti hanno inscenato ieri una protesta davanti all’ala bunker. Vestiti da palestinesi: gli uomini con la kefiah (il copricapo portato da Arafat), le donne con un foulard in testa - un ragazzo addirittura in carrozzella sventolando la bandiera dello “Stato che non c’è” - hanno urlato contro la violazione della libertà accademica da parte della loro università e il sostanziale razzismo del professore americano, concludendo un cartello con la scritta “Flush down the Pipes” (scarica lo sciacquone).
Pipes ha aperto un sito nel settembre scorso che si chiama Campus Watch nel quale esterna tutti i suoi sospetti, a volte sottoforma di crociate vere e proprie. Avrebbe addirittura messo in rete una lista con nomi, cognomi, numeri di telefono e indirizzi Web di otto docenti di studi mediorientali “colpevoli” di aver sostenuto dei pregiudizi durante le lezioni o i discorsi pubblici. Ad esempio di aver suggerito che la politica estera americana può aver contribuito alla crescita del terrrorismo arabo o che Israele ha oppresso i palestinesi. Sul sito esiste anche una lista nera delle università e circa 200 professori hanno scritto in modo provocatorio al sito per solidarietà con gli otto accusati, creando una sezione “solidarity with Apologists”. Da allora Pipes è frutto di critiche a ogni livello, tanto da averlo indotto a cancellare due conferenze di recente, perché gli isitituti che avrebbero dovuto ospitarlo non volevano guai.
Anche nell’Università York di Toronto si è dibattuto molto sulla sua presenza, non gradita da tutti. Mercoledì scorso il direttivo aveva deciso di sospendere la conferenza, con l’approvazione del congresso ebreo-canadese. Ma poi non si è trovato un altro posto che fornisse le stesse garanzie di sicurezza per ospitare Pipes. E nel frattempo l’opinione interna al campus si è fatta più morbida: «York ha una lunga tradizione nell’essere un luogo dove esprimere le più diverse opinioni, che Pipes sia il benvenuto, purché non infranga le leggi».
La Coaliton for Academic Freedom ha subito protestato. Inutilmente. E il professore interno di antropologia Malcom Blincow ha aggiunto «Il sito Campus Watch individua gli accademici che criticano Israele e il suo comportamento con i palestinesi o la politica di Washington pro-israeliani, ne pubblica i nomi e le sedi. Dopodiché gli stessi professori sono oggetto di violenza e minacce. Le loro e-mail vengono intasate da quantità impressionanti di posta-spazzatura, rendendogli impossibile non solo comunicare ma anche lavorare. Ci sono state persino minacce di morte».
Subito dopo la lezione universitaria, costata uno sproposito per la sicurezza (cifra non dichiarata, ma che per ammissione degli studenti ebrei ricadrà sulle spalle di tutti gli iscritti all’Università), Pipes ha tenuto una conferenza stampa al Canadian Jewish Congress.
«Sono abituato a queste dimostrazioni e a quello che ormai chiamano il “Pipes affair"» ha detto, «ma io sono un accademico americano, non un politico israeliano. Il mio scopo è suggerire al mio governo come deve affrontare il problema degli studi sul Medio Oriente. Le università sono importanti, sono delle istituzioni dove si fa cultura. Ebbene, il loro scopo sta cambiando. Troppi studenti le usano per fare politica e dare una visione distorta di quello che succede nei Paesi arabi. A Campus-Watch.org lo diciamo chiaramente. E per questo veniamo criticati. Non c’è intolleranza. Invito tutti, sorattutto gli studenti, a visitarlo per verificare». Nell’introduzione si legge infatti che l’obiettivo è “controllare e criticare gli studi sul Medio Oriente in Nord America, per migliorarli. In particolare rispetto a cinque problemi: le lacune nelle analisi, la confusione tra politica e dottrina, l’intolleranza di visioni alternative, l’apologia e l’abuso di potere sugli studenti”. Come dice il proverbio, poi, la miglior difesa è l’attacco. Così, ai volantini distribuiti dai manifestanti, nei quali si specifica fino a che punto è arrivato il professore americano o il suo forum (per esempio che bisognerebbe tagliare i fondi ai dipartimenti di studi mediorientali e darli al ministro per la difesa per insegnare l’arabo alle spie americane), Pipes ha risposto con delle accuse. «I media e i volantini danno una visione distorta e falsa. Vogliono farmi tacere. Il loro è un metodo intimidatorio. D’altronde noi raccogliamo informazioni anche da fonti pubbliche. Basta guardare il sito per capire».